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Da inforg a onlife: i termini del linguaggio del futuro spiegati dal filosofo Luciano Floridi

di Luciano Floridi*

Il linguaggio dei filosofi talvolta sembra oscuro: i neologismi sembrano sintomo di confusione o furbizia Ma sono necessari anche per fare chiarezza. E non confondere i canguri con i conigli.

 

Il linguaggio dei filosofi

I filosofi hanno fama di essere oscuri. A volte si tratta di mera confusione: guidano “a fari spenti nella notte” e si percepisce. A volte è furbizia: la supercazzola è voluta, sia per nascondere il fatto che non si ha niente da dire o che quello che si dice è una sciocchezza, sia per fare effetto su chi legge, che, interpretando il testo come meglio crede, lo trova narcisisticamente affascinante, non capendo che le pozzanghere in cui si rispecchia sono nere non perché sono profonde, ma perché sono sporche. Altre volte ancora l’oscurità è solo pigrizia, perché la chiarezza richiede cura, pazienza, tempo per la riscrittura, e una notevole fermezza con se stessi nello sgarbugliare le proprie idee. Tuttavia, in certi casi, l’oscurità è soltanto apparente. È dovuta ad un linguaggio tecnico, inizialmente incomprensibile per i non esperti, ma che è essenziale per fare buon design concettuale: creare, montare, smontare, riparare, e rinnovare le nostre idee, su questioni che restano intrinsecamente aperte al disaccordo informato, ragionevole, e razionale. In altre parole, nei casi migliori, l’oscurità della filosofia è un po’ come quella della matematica: non voluta, ma inevitabile per trattare cose astratte in modo sintetico e preciso. È dai tempi dei Greci che la filosofia produce neologismi per maneggiare realtà, esperienze, o concetti. Senza di essi non avremmo il vocabolario adatto, e quindi ci sarebbe tanto più difficile analizzare, capire, interrogare e magari migliorare la realtà. È un po’ come quando si arriva su un continente ignoto. Sarebbe fuorviante usare parole vecchie per descrivere cose nuove: un canguro, un koala, o un baobab. Per questo la filosofia da sempre produce dizionari filosofici, che ci spiegano che cosa significa “antinomia”, “eteronomo” oppure “trascendentale”. Oggi, il nuovo “continente” che stiamo esplorando è quello digitale. Per capirlo, a volte non bastano espressioni che hanno fatto un buon lavoro in passato. In alcuni casi dobbiamo aggiornarle, si pensi a “sovranità digitale”, “cybercrime”, oppure “e-democracy”. Ma se il passato non ci aiuta, dobbiamo coniarne di nuove, perché una zebra non è un asino con le strisce. Ecco allora questo mio contributo al nostro vocabolario concettuale. Spero che sia utile per chiarirci le idee sul digitale, e poterle usare per migliorare il mondo.

 

*Filosofo e ordinario di Etica dell’informazione all’Università di Oxford, membro del Comitato scientifico di IAIC

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