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Lo sviluppo dell’informatica che ha avuto luogo dalla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, ed in particolare lo sviluppo della telematica a cui si è assistito negli ultimi venti anni, mostrano come ad oggi risulti assai difficile ipotizzare i futuri sviluppi tecnologici. Ciò spiega perché nelle carte costituzionali della grandissima maggioranza degli Stati occidentali non sia rinvenibile alcun esplicito riferimento all’informatica o alla telematica. Soltanto in alcuni testi costituzionali più recenti, difatti, è stato posto in luce il diritto di accedere alla rete, o quanto meno di accedere liberamente alle fonti di informazioni, come autonomo diritto; ciò, ad esempio, negli artt. 18 e 105 della Costituzione spagnola del 1978 e nell’art. 35 della Costituzione portoghese del 1976.

Di conseguenza, gli operatori del diritto si sono dovuti impegnare in un costante adeguamento interpretativo delle norme costituzionali agli sviluppi tecnologici che via via si sono susseguiti. Attraverso questa attività di aggiornamento normativo si è rilevata – e si continua a rilevare incessantemente – la necessità di effettuare un bilanciamento tra valori ed interessi diversi. Ciò in quanto, se da un lato è palese la primaria esigenza di sicurezza degli individui, dall’altro lo è altresì il fatto che il progresso scientifico, specie negli ambiti dell’elaborazione delle informazioni e delle comunicazioni dei dati, non può prescindere dalle norme che garantiscono la libertà, l’identità e la tutela in genere di ogni consociato.

In questo contesto, ad esempio, in Italia sono stati riconosciuti i nuovi diritti che si fondano su quelli contenuti nella Costituzione. Così, il diritto alla libera manifestazione del pensiero, ad informarsi e ad essere informati, assume la nuova veste di libertà informatica e telematica, il diritto alla riservatezza viene riconosciuto come uno dei diritti della persona, ed il diritto alla libera iniziativa economica privata comporta la libertà di accesso al mercato anche telematico.

Le questioni appena evidenziate risultano particolarmente complesse, evidentemente, in virtù della globalità della rete internet e delle attività svolte attraverso essa, che di fatto limita ab origine l’efficacia di qualsiasi intervento normativo dei singoli Stati ed impedisce azioni di vigilanza e sanzione a livello nazionale. Determinante è infatti la dimensione territoriale all’interno della quale deve prendere vita la regolazione di mezzi sempre più globali, che perciò non può prescindere dalla definizione degli attori che devono partecipare alla regolazione stessa, definendo il reale rapporto che governi e istituzioni sono chiamati a dare nell’evoluzione dei mercati digitali, con particolare riferimento ai più recenti dibattiti sulla governance della rete, sulla net neutrality e sulla circolazione dei dati personali degli utenti.

In questo contesto, l’autodisciplina si propone come una possibile soluzione per supplire, almeno in parte, alle difficoltà di impiego delle legislazioni nazionali. Sullo sfondo vi è la convinzione che le stesse tecnologie che sono state create per rendere più efficienti le nuove tipologie di business in rete costituiscano in effetti l’ineludibile fondamento della loro regolazione. In un simile quadro, il regolatore è il “codice”, ossia l’hardware e il software che rendono il cyberspazio così com’è . Il codice, ovvero l’architettura della rete, imposta le condizioni alle quali è vissuta la vita nel cyberspazio. Esso determina quanto sia agevole proteggere la privacy, oppure censurare la libertà di espressione. Determina se l’accesso alle informazioni sia generale ovvero se il flusso delle informazioni sia limitato a seconda delle aree geografiche o di altri fattori. In una serie di modi che non si può cominciare a vedere se non ci si basa proprio sulla comprensione della natura del codice della rete.

 

La nostra scelta non è tra regolazione e assenza di regolazione. Il codice regola. Esso attua valori, oppure no.

Consente lo sviluppo della libertà, o la limita. Protegge la privacy, o promuove il monitoraggio.

Così, la questione fondamentale non è quella della regolazione o no del cyberspazio, ma quella se la società civile abbia o no un ruolo nella scelta e quindi nel determinare se e come i valori regolino la rete.

 

La questione non è quella di limitare l’evoluzione della tecnologia o del mercato, ma di conoscere le conseguenze delle decisioni regolatorie, attraverso un sistema che sia volto a mantenere un equilibrio tra gli interessi, basato su un approccio di natura costituzionale.

Come affermato da Lawrence Lessig:
Our first response should be hesitation. It is proper to let the market develop first. But as the Constitution checks and limits what Congress does, so too should constitutional values check and limit what a market does. We should test both the laws of Congress and the product of a market against these values. We should interrogate the architecture of cyberspace as we interrogate the code of Congress.

Il problema, allora, appare in ultima analisi quello di individuare regole “costituzionali” che servano a valutare le questioni incessantemente poste dall’innovazione tecnologia e a prendere decisioni in merito secondo un metodo legittimato e condiviso. A questo proposito, del resto, sta emergendo una nuova ondata innovativa per la generazione di piattaforme che abbiano questa funzione, composte da un codice, delle regole e un’interfaccia che favoriscano comportamenti adatti a svolgere questa funzione.

A tale scopo, fino a quando al di sotto delle piattaforme più utilizzate dalla popolazione connessa in rete esisterà sempre una internet neutrale, resterà possibile l’emergere di nuove piattaforme governate da nuove regole. Nelle profondità della rete, programmatori e innovatori continuano a costruire forme diverse di interpretazione della realtà, e quindi nuove opzioni di convivenza connessa, incluse quelle che riguardano i modi con i quali le società prendono decisioni politiche.

In questo complesso scenario, dunque, l’Accademia Italiana per il Codice di Internet si propone quale luogo d’incontro nel quale – grazie all’impegno degli esponenti del mondo universitario e della società civile che ne fanno parte – le istanze dei diversi portatori di interessi in gioco possano trovare il dovuto bilanciamento.

Accanto alla questione delle regole, poi, si pongono quelle – altrettanto essenziali – dell’alfabetizzazione digitale e dell’educazione all’utilizzo di internet come volano per lo sviluppo dell’amministrazione, e professioni e dell’economia (big data, pubblica amministrazione digitale, ecommerce, piccole e medie imprese online, ecc.). A tal fine, l’Accademia ha l’obiettivo di sviluppare la formazione delle diverse categorie sociali interessate alle molteplici questioni legate all’avvento del digitale, dall’utilizzo delle tecnologie, al loro impiego per fini sociali, istituzionali o commerciali, alla tutela dei diritti in rete.

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