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Digital Services Act, passi avanti e nodi da sciogliere

di

Valeria Falce

Jean Monnet Professor of EU Innovation Policy; Professor in Digital Transformation and AI Policy; Ordinario di diritto dell’economia nell’Università Europea di Roma e Direttore ICPC – Innovation, Regulation and Competition Policy Centre (socio IAIC)

Nicola M. F. Faraone

ICPC-Innovation, Regulation and Competition Policy Centre, Università Europea di Roma

 

 

Il Digital Services Act (DSA) della Commissione europea non migliora solo la trasparenza e la correttezza delle pratiche di mercato nei servizi digitali, ma estende anche il raggio d’azione nella tutela dei diritti, anche in tema di proprietà intellettuale. I nodi da sciogliere sono tuttavia delicati. Ecco quali

La proposta della Commissione europea sul Digital Services Act punta a innestare germi di trasparenza e correttezza nell’offerta di servizi digitali. Il pacchetto nutre l’ambizione di dare impulso al mercato unico, assicurando la correttezza delle pratiche di mercato, la certezza dei diritti e la prevedibilità delle regole [1]. Ma rimangono ancora alcuni problemi da risolvere.

Significative e attese sono le implicazioni e le correlazioni anche sul fronte della tutela dei diritti. L’affermazione dell’economia digitale ha aumentato la disponibilità in rete di prodotti contraffatti, non conformi o non autorizzati o di altri beni scambiati illegalmente, così come la proliferazione di contenuti illegali, da cui scaturisce il fenomeno dell’incitamento all’odio ovvero l’hate speech. I contenuti illegali, attraverso gli algoritmi di profilazione e personalizzazione dei servizi, facilitano poi la polarizzazione e radicalizzazione del dibattito pubblico.

 

 

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