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Tokenizzazione dell’Economia, del Prof. Avv. Alberto Maria Gambino (Intervento agli Stati Generali del Diritto di Internet)

Tokenizzazione dell’Economia

Alberto Maria Gambino

Presidente dell’Italian Academy of the Internet Code (www.iaic.it)

Professore ordinario di Diritto privato  e Prorettore vicario dell’Università Europea di Roma

 

 

Economia a gettoni.

Token economy ovvero economia simbolica o “a gettoni” è un programma comportamentale. Il rinforzo motivazionale mediante i gettoni evita fenomeni di saturazione o sazietà – è l’insaziabilità dei token – probabili se si usassero rinforzatori da consumare o collezionare. Si tratta, dunque, di una tecnica motivazionale

Gli NFT sono token non fungibili che si realizzano attraverso il procedimento di ‘tokenizzazione’, detto minting: è possibile far convogliare nella blockchain non solo le informazioni o documentazioni relative al bene (o l’opera) di riferimento, ma anche la sua impronta digitale, tramite l’hash code, e le direttrici ubicative della memorizzazione del bene stesso che, se digitale o digitalizzato, può avvenire tramite linking su cloud o attraverso le coordinate del protocollo InterPlanetary File System (‘IPFS’).

Dunque come cambia l’economia se lo scambio/il premio riguarda cose infungibili?

Non si accumulano monete ma opere d’arte, preziosi, titoli, con la loro congenita dose di incertezza…. Dunque “incertezza”. Il sistema degli NFT contribuisce all’economia dell’incertezza: smart contract e token/nft sono coppie concettuali con oggetto indeterminato/indeterminabile e dunque pregne di aleatorietà.

La scarsità si fa tecnologica e segna una doppia alea: l’incertezza della tecnologia e l’incertezza del valore di mercato oggetto dello scambio tecnologico.

E il diritto?

La Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle criptoattività (markets in crypto-assets, acronimo MICA) che modifica la direttiva (UE) 2019/1937  fa parte di un pacchetto di iniziative volte a contrastare i rischi della finanza digitale (in particolare operata su DLT e per questo detta “decentralised finance”, o “DeFi”). Le cripto-attività vengono distinte in tre sottocategorie, tra cui figurano gli “utility tokens”, destinati “a fornire l’accesso digitale a un bene o a un servizio, disponibile mediante DLT” (art. 3, par. 1, n. 5), i “token collegati ad attività”, o stable coin, “un tipo di cripto-attività che intende mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di diverse monete fiduciarie aventi corso legale, di una o più merci o di una o più cripto-attività, oppure di una combinazione di tali attività” (art. 3, par. 1, n. 3), utilizzati “come mezzo di pagamento per acquistare beni e servizi o come riserva di valore” (cons. 9) e i “token di moneta elettronica”, “…il cui scopo principale è quello di essere utilizzato come mezzo di scambio e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una moneta fiduciaria avente corso legale” (art. 3, par. 1, n. 4) e la cui funzione “è molto simile a quella di moneta elettronica” (cons. 9). Dalla Proposta rimangono fuori le cripto-attività assimilabili a strumenti finanziari, disciplinati dalle normative di settore.

 

Incertezze.

Uno dei più grandi limiti degli NFT sta nel riferirsi ad asset privi di pregio, a beni ‘tokenizzati’ illegittimamente o, addirittura, a beni conseguiti in maniera illegale. In particolare, nonostante ogni passaggio nella catena, ovvero ogni atto di gestione del token all’interno della stessa, avvenga entro le regole della blockchain e secondo le operazioni consentite dallo smart contract – garantendo sia la facoltà di porle in essere, che l’imputabilità delle azioni al solo detentore della chiave privata –, non può dirsi che vi sia il medesimo rigore nella fase di immissione dei dati, che è consentita a chiunque. Tale circostanza concorre nella creazione di fattori di incertezza circa la potenziale introduzione nella blockchain di dati ‘spazzatura’. Il fenomeno è appunto conosciuto come Garbage In, Garbage Out (‘GIGO’), frase che esprime, in modo colorito, la totale assenza di senso critico degli elaboratori nel processare dei dati che gli vengono somministrati. Tale caratteristica diviene ancora più rilevante nel momento in cui, come è avvenuto di recente, si ricada nel fraintendimento che il valore sia da attribuire al contenitore e non al contenuto, epurando il ritrovato dalla sua natura strumentale, valorizzando lo stesso con autoreferenziali argomentazioni tautologiche, volte a glorificare lo strumento solamente per alcune caratteristiche effimere, rischiando di perdere il suo essere funzionale ad un bene, o un diritto, che sottintende e a cui, pensando alle opere dell’ingegno, potrebbe assicurare maggiore protezione.

Allo stesso modo, anche ritenere una piena immedesimazione tra asset e token – e dunque contenitore/contenuto – conduce a soluzioni fallaci. Infatti, sebbene lo smart contract sia in grado di gestire la traditio dell’NFT, esso non descrive, tuttavia, il significato di tale interazione, che deve essere valutato caso per caso, sulla base di ciò che il token sottintende, delle norme che regolano il suo trasferimento, degli accordi che eventualmente intercorrono tra le parti coinvolte e, infine, delle circostanze che giustificano l’operazione stessa, che può rendersi necessaria per ordine di un provvedimento giurisdizionale. Pertanto, se l’NFT può tratteggiare i contorni delle vicende relative ad un bene e alla sua esistenza, a darle colore sono fattori esogeni, precedenti e contestuali all’esistenza dello stesso.

Sotto diverso profilo, gli NFT sembrano anche disattendere la caratteristica che, in modo quasi propagandistico, ha contribuito alla loro notorietà: l’unicità. Tale peculiarità è spesso fraintesa, in ragione di quell’errata associazione tra bene e token. Al contrario, già in fase di minting è possibile stabilire il numero di NFT da associare al medesimo bene, definendo una sorta di ‘tiratura’ degli stessi che, però, può essere facilmente disattesa, giacché è comunque possibile procedere alla creazione di ulteriori token successivamente, partendo da una copia del bene già ‘tokenizzato’ con una precedente operazione (una sorta di litografia digitale).

Anche in tale circostanza, viene in risalto l’assenza di controllo dei dati in ingresso, che potrebbe condurre alla creazione di token riferibili a contenuti identici, sebbene l’identità del contenuto non conduca alla unicità degli NFT, che resta tale indipendentemente dall’asset richiamato.

Si potrebbe, allora pensare all’implementazione di controlli in ingresso, che potrebbero rendere obbligatoria un’analisi automatizzata – magari con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale – in grado di subordinare la procedura di minting all’esame dell’asset che si vuole ‘tokenizzare’ e della documentazione a supporto.

 

I marketplace.

Questi sono, al tempo stesso, i gestori ed i luoghi in cui gli NFT vengono venduti e, nonostante assumano valenza ancillare per dinamiche tecnologiche, risultano determinanti nello stabilire il contenuto dello scambio e per consentire l’incontro tra le parti. Il loro assetto assume caratteristiche concentriche, giacché l’ordinamento di riferimento definisce la legge applicabile, che, a sua volta, determina il contenuto dei ‘termini e condizioni’ del marketplace, che incide, come fosse un contratto quadro, sui singoli accordi tra le parti. In tale contesto l’NFT rimane un mero significante dei diritti sull’asset oggetto del contratto, destinato a piegarsi a fronte della primazia di quest’ultimo. Il collezionista, o il generico utente, che si appresta ad acquistare l’NFT, non può affidarsi alle sole peculiarità della tecnologia, ma deve valutare il contenuto del contratto che regola i rapporti dei soggetti, tra cui avviene il trasferimento dell’NFT, alla luce delle condizioni del marketplace, che sono, in molti casi, regolate dalle leggi sul copyright statunitense. Nel caso delle opere ‘tokenizzate’, i diritti che l’acquirente riceve sono determinati dalle licenze che il marketplace garantisce direttamente o per tramite dei singoli accordi. La maggior parte di questi offrono una licenza di utilizzo, copia ed esibizione non esclusiva e non trasferibile, con svariate ulteriori limitazioni. Di norma sono espunte tutte le facoltà di commercializzazione. In definitiva, si consegue il significante (l’NFT) e si acquisiscono limitatissimi diritti sul significato (l’opera).

Non va trascurato neppure che i marketplace intermediari non intendono assumere responsabilità circa l’origine dei contenuti associati agli NFT disponibili sulla piattaforma, lasciando alle dichiarazioni del creatore il compito di garantire la genuinità dell’asset o l’effettiva esistenza in capo allo stesso dei diritti oggetto della transazione. Dalla lettura delle condizioni contrattuali dei vari marketplace, emerge purtuttavia una netta separazione tra l’opera protetta e l’NFT come oggetto del contratto, per cui, sebbene l’acquisto del token non sempre vada a far acquisire diritti sull’opera protetta, in ogni caso si consente la “proprietà” del suo referente su blockchain.

 

Funzione ancipite.

La funzione ancipite (doppia) degli NFT è evincibile consultando la giurisprudenza internazionale. L’azionabilità della tutela dello stesso as a legal property è attestata da una recente pronuncia, su un caso portato innanzi all’High Court britannica, riguardante il furto di due token della collezione “Boss Beauties” dal wallet della fondatrice di Women in Blockchain Talks. La vicenda è divenuta un landmark case per aver riconosciuto, in via inferenziale, agli NFT protezione legale per se, sancendo dunque che gli stessi siano proprietà del soggetto. Seguendo tale ragionamento, l’Alta Corte del Regno Unito ha emesso un’ingiunzione volta a congelare gli NFT rubati e alla disclosure delle informazioni relative agli account che avevano illegittimamente conseguito il possesso del ‘corpo’ del reato. Il provvedimento, essendo ignoti i colpevoli, è stato indirizzato direttamente al marketplace.

Altro filone – più copioso – considera la creazione e la messa in commercio dell’NFT come una violazione del copyright. La Cina, infatti, ha avuto modo, di recente, di occuparsi della ‘tokenizzazione’ in questi termini. La Corte di Hangzhou ha ritenuto il marketplace NFTCN responsabile di aver consentito un minting lesivo dei diritti dell’opera protetta. In particolare, la Corte asiatica ha ritenuto NFTCN colpevole di aver facilitato la creazione di un NFT.

NFT e Proprietà Intellettuale assegnano i diritti del legittimo titolare, mancando di effettuare un controllo preventivo, ritenuto, dalla stessa, necessario. Da tale premessa è conseguita la condanna al risarcimento e alla distruzione dell’NFT, al fine di impedirne la circolazione ulteriore, che è stata eseguita attraverso l’invio del token a un cosiddetto ‘eater address’, ovvero un indirizzo privo di chiave privata, per compiere l’operazione di burning.

Anche le Corti statunitensi sono state invitate a decidere su casi riguardanti il minting di NFT riferibili ad opere protette. Esemplare è il caso che ha visto contrapporsi, innanzi alla United States District Court – Central District of California, la Miramax e Quentin Tarantino (caso Miramax, Llc vs. Quentin Tarantino; Visiona Romantica, Inc.; and DOES 1-50). La società ha citato il regista per avere proceduto alla creazione di alcuni NFT riguardanti sette scene tagliate e non sottoposte ad editing del celeberrimo film “Pulp Fiction”, chiedendo la condanna per violazione del contratto, violazione del copyright, violazione del marchio e concorrenza sleale e basando la richiesta anche su una clausola contrattuale secondo cui all rights (including all copyrights and trademarks) in and to the Film (and all elements thereof in all stages of development and production) now or hereafter known including without limitation.

L’operazione di burning segna la fine del percorso dell’NFT sulla blockchain. I token non fungibili, infatti, non possono essere eliminati (ma appunto solo “congelati”), a meno che tale facoltà non sia stata prevista nella programmazione dello smart contract.

 

S.O.S. norme di riequilibrio.

La ‘tokenizzazione’ acritica degli asset, consentita dalla tecnologia, e la mancata assunzione di responsabilità da parte del marketplace inducono a porre ancora più l’accento sul contesto normativo di riferimento che dovrebbe, sulla base di disposizioni legislative, riequilibrare la discrasia contrattuale imposta “dall’alto”, dai titolari delle piattaforme di compravendita degli NFT, e garantire la piena tutela dei titolari dei diritti e dei successivi acquirenti degli stessi: in particolare, i consumatori. La responsabilità delle piattaforme è invece attualmente regolata soltanto da provvedimenti normativi volti ad impedire la generale diffusione di materiale illegale, attraverso la collaborazione degli stessi provider.

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