Luciano Floridi: “L’intelligenza artificiale ha potenzialità enormi, evitiamo che diventi una bolla”
di Adele Sarno Intervista col più autorevole filosofo del web Luciano Floridi, membro del Comitato Scientifico…
Il metaverso distopico
di Alberto Gambino
Presidente e socio fondatore di IAIC
Web e social inducono alla metamorfosi antropologica degli utenti?
Di solito il tema riguarda tuttalpiù l’uso scorretto della rete, le sue insidie, le sue contraddizioni; ma in pochi si spingono a prendere atto della capacità della tecnologia di tramutare l’essenza dei comportamenti umani, il modo di pensare. Un modo di pensare plurimillenario e semplicissimo: il sudore della fronte quale segnale che indica la strada dell’affermazione nel lavoro e, talvolta, del successo.
L’utente post-millennial, invece, non suda granchè ma sta comodamente seduto oppure saltella allegramente dietro una webcam e s’ingegna per avere il consenso del web. Perché la popolarità porta soldi. Si badi bene: non significa che sia più facile solo perché fisicamente meno faticoso. I più – e specie le generazioni non digitali – registrano fallimenti, anche economici, con il web. Significa però che è cambiata l’antropologia della chiave del successo.
Già, ma cos’è il successo? Diventare chirurgo o salvare la vita del paziente? Prendere un titolo abilitante o costruire una casa solida? Avere tanti fan virtuali o ricevere sguardi di stima? La nuova antropologia del nativo digitale, formatasi nel mondo virtuale, può non soccombere alle delusioni della vita di tutti i giorni, che richiede resilienza e anticorpi analogici e non informatici?
La transizione finale si compirà con il realizzarsi di quel mantra oggi ancora opaco che va sotto il nome di Metaverso. A quel punto ci sarà un riallineamento tra il “modo di pensare” di un pezzo dell’umanità e la comunità nella quale essa vivrà, dove anche una terapia sanitaria andata male o una casa che crolla non mieterà vittime umane, ma solo virtuali.
Il cerchio, però, non si sarà ancora chiuso: la congiuntura astrale perfetta oltre all’avatar dei propri corpi dovrà comprendere anche gli avatar delle nostre intelligenze.
Ma qui l’itinerario s’interrompe bruscamente perché s’intuisce la fine dell’umano: chi comanda la rete, chi ne beneficia, quali sono le vere vittime? Domande sociali drammatiche, ineludibili, che riallineano non più l’antropologia al web ma il web all’antropologia: se il progresso tecnologico porta demenza e analfabetismo allora ne va della democrazia, e, senza infingimenti oggi alla moda, occorre ritrovare la misura del giusto equilibrio reale-virtuale. E’ obbligo morale, parresia socratica che ritrova le radici nel vero e nell’autentico che può esserci e ci sarà sempre anche nel dilagante scenario tecnologico. Se soltanto lo si vorrà.
E tornerà il sudore della fronte e tornerà il libro scritto a mano, non perché vergato da un individuo su fogli di carta anti-ecologici ma perché digitato su un touch screen da un’intelligenza umana, non artificiale.