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Le comunicazioni avvocato cliente saranno più protette in Italia?

Ora, una forma di protezione nei confronti della corrispondenza con il proprio legale esiste già negli Stati membri quale espressione del diritto di difesa. Anche da noi, ad esempio, sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il privilegio si estende a tutta la corrispondenza oggetto di scambio tra impresa e avvocato dall’apertura del procedimento in poi, ricomprende quella anteriore che presenti elementi di connessione con l’oggetto del procedimento e che sia stata ricevuta o inviata all’avvocato, si allarga alle note interne meramente  riproduttive di comunicazioni e pareri giuridici provenienti da avvocato e persino ai documenti preparatori redatti esclusivamente al fine di chiedere un parere giuridico. ‎

Dal punto di vista dei soggetti, proprio alla luce della giurisprudenza comunitaria, quella che conta è la corrispondenza con l’avvocato esterno abilitato‎ – che in tale veste partecipa all’amministrazione della giustizia – ma non anche quella con il legale interno (c.d. in-house lawyer) perché:

  1. lo scambio non avverrebbe nell’esercizio del diritto alla difesa del cliente ma sulla base di un rapporto di impiego;
  2. l’assoggettamento a regole anche deontologiche non scongiurerebbe il rischio di conflitti di interesse e in ultima analisi non assicurerebbe una piena “indipendenza” rispetto all’impresa.

 

Date queste condizioni, l’effettività del privilegio si esprime attraverso un doppio vincolo: al professionista legale è vietato rivelare le comunicazioni “legally privileged” e alle autorità giurisdizionali ed amministrative è precluso accedere ad esse ed utilizzarle come prove, con la conseguenza che, se fatte confluire nel fascicolo istruttorio, risultano inammissibili. A fronte di queste linee comuni, negli Stati membri persistono ampie zone di disomogeneità. In alcuni Stati, ad esempio, il trattamento confidenziale investe anche pareri e note predisposte per l’avvocato, vuoi da collaboratori vuoi da consulenti in situazioni in cui un successivo contenzioso giudiziale sia probabile.

In altri, sono attratte nel privilegio anche le comunicazioni con l’avvocato d’impresa iscritto ad un Albo professionale. Insomma, in certe giurisdizioni prevale un vincolo funzionale e di destinazione (all’esercizio del diritto di difesa), senza rilevare se una certa corrispondenza provenga da un soggetto piuttosto che da un altro. Ecco allora che, nell’attuale fase di recepimento, il Legislatore italiano ha l’opportunità di fare un salto di qualità. Innanzitutto, facendo leva sulla versione inglese della Direttiva che apre uno spiraglio all’allargamento del cono d’ombra del privilegio legale alle comunicazioni di tutti coloro – avvocati e non – che siano investiti del ruolo di concorrere alla difesa del cliente.

Inoltre, interpretando in chiave sistematica la versione francese, che fornisce un ulteriore spunto là dove si concentra sulla necessità di garantire il segreto professionale nel corso del procedimento, senza mai richiamare la nozione più ristretta di privilegio. Infine, una riflessione nuova e seria sul tema è sollecitata dagli indirizzi che vanno affermandosi in materia di proprietà intellettuale, in cui oltre agli avvocati anche consulenti e mandatari sono obbligati al segreto. In conclusione, l’occasione che si schiude è preziosa e, se colta appieno, potrebbe portare in Italia alla definizione di uno statuto del legal privilege nel diritto dell’impresa, in cui vengano considerate anche le comunicazioni con i legali interni (magari investendoli di un mandato ad hoc) e più ampiamente con altri soggetti obbligati al segreto professionale, sempre che ovviamente siano iscritti ad un Albo e vincolati alla relativa disciplina che ne salvaguardi l’indipendenza.

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