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La concorrenza deve fare i conti con il digitale

Insomma, da più parti ci si interroga sul peso da attribuire nelle valutazioni concorrenziali alle caratteristiche specifiche di taluni mercati, alle condizioni proprie di certi processi e, più ampiamente, alle dinamiche dell’innovazione.

In punto di diritto la risposta sembra lineare. Ogni mercato e ogni condotta va valutata on its own facts, tenendo conto cioè della struttura, delle caratteristiche peculiari e delle evoluzioni in corso.

È pacifico poi che un’impresa possa rivestire una posizione dominante su qualunque mercato, avendo vinto i meccanismi di selezione naturale per poi imporsi al suo interno al riparo dalla pressione della concorrenza. Altrettanto scontato è che quell’impresa, in virtù della posizione di cui gode, sia gravata da una speciale responsabilità, dall’obbligo cioè di non alterare ulteriormente il grado di innovazione e concorrenza su quello o altri mercati.

Allorché quell’impresa si discosti dall’onere che le incombe, assumendo condotte che gli altri non sarebbero in grado di replicare (vuoi per sfruttare il potere di mercato rivestito a danno dei consumatori vuoi per promuovere politiche escludenti nei confronti dei concorrenti), si perfeziona l’illecito e l’antitrust è pronto ad abbattere la sua scure.

Quando però ci si sposta dal piano della teoria a quello della pratica, le certezze sfumano. E allora veniamo ai fatti. Dopo 5 anni di indagini e 3 proposte di impegni, il 15 aprile la Commissione Europea è approdata ad una contestazione formale, i cui contenuti trapelano appena dai comunicati stampa ufficiali della stessa Commissione.

Lo Statement of objections, allo stato incentrato sul servizio di Google shopping, mira a verificare se la compatibilità con le regole della concorrenza della preferenza che il motore di ricerca accorderebbe sistematicamente ai risultati legati o comunque riconducibili a soggetti con i quali Google intrattiene relazioni commerciali, a prescindere cioè da una effettiva rilevanza dei servizi Google rispetto alla query inserita dall’utente nella barra di ricerca.

La sfida che si annuncia è innanzitutto di policy, ma dovrà giocarsi nel merito dei fatti.

Non è dubbio che ad oggi nel mercato dei motori di ricerca Google goda della preferenza degli utilizzatori, che dunque optano preferibilmente per i suoi servizi di ricerca. Spetterà invece alla Commissione misurare il peso da assegnare ad altri aspetti, primo tra i quali l’accessibilità delle informazioni in Internet, che si esprime oggi attraverso strumenti, canali e applicazioni complementari.

I motori di ricerca si moltiplicano (ad esempio Bing, Yahoo, Quora, DuckDuckGo) e ad essi si affianca una nuova generazione di assistenti di ricerca (ad esempio Siri di Apple e Cortiana di Microsoft).

Sulla rete i servizi specializzati insistono nella fornitura di informazioni specifiche, così contribuendo ad allargare i confini del mercato in cui operano i motori di ricerca (ad esempio Amazon, Idealo, Le Guide, Expedia o eBay).

I social network quali Facebook e Twitter evolvono e sempre più si offrono come mezzi attraverso i quali acquisire informazioni utili, suggerimenti e consigli. Per districarsi nell’oceano di Internet, oggi le esigenze della domanda vengono soddisfatte anche attraverso siti di notizie e informazioni, la cui autorevolezza e popolarità è incontestabile.

Infine, si assiste all’esplosione dell’utilizzo di dispositivi mobili (la Commissione ha avviato un’istruttoria anche su Android), e all’emersione di un ruolo ormai di primo piano delle app quali strumenti di ricerca puntuali e specifici.

In questo scenario, in cui l’innovazione è una delle direttrici fondamentali, alla Commissione spetterà il compito di identificare e declinare le dinamiche competitive sui mercati interessati, e di qui valutare se la condotta di Google sia riconducibile ad una (aggressiva ma pur sempre) legittima iniziativa innovativa ovvero ad una strategia che interferisce significativamente sulla concorrenza e l’innovazione.

5 maggio 2015

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