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Internet Governance, il Prof. Gambino: “Il Governo dia attuazione all’art. 14 del Bill of Rights”

I modelli italiani – “Noi in Italia nel nostro piccolo abbiamo quattro piccoli precedenti di comitati”, ha spiegato il Prof. Gambino. “Il più significativo è l’unico di un comitato legale, quello del diritto d’autore, istituito dall’articolo 190 della legge del 1941, che tuttavia non vedeva neanche la presenza del delegato delle telecomunicazioni, semplicemente perché allora la tv non esisteva, e che oggi continua ad avere funzioni consultive, diciamo di suggerimento al ministro dei Beni Culturali, pur con una struttura che potremmo definire desueta e arcaica, perché mancano non solo i consumatori, ma anche molti player”.

“Un secondo modello è quello delle authorities indipendenti. Penso al buon lavoro fatto dall’Agcom con il Comitato per lo sviluppo e la tutela dell’offerta legale di opere digitali, nel quale c’è una vera presenza multistakeholder con le associaizoni dei consumatori oltre che, e questo è quello che secondo me manca nel modello brasiliano, della cultura, del patrimonio artistico e culturale che è insetimabile in Italia. Noi dobbiamo capire che la governance parte dai contenuti, non solo dalle modalità di esercizio del governo della rete o della partecipazione al disegno delle regole. Cerchiamo di valorizzare quegli aspetti contenutistici che fanno diventare la nostra realtà un’oasi di grande richiamo, perché se qualcuno si vuole imbattere e addirittura studiare l’italiano è per conoscere quella cultura e quel patrimonio artistico unico al mondo”.

“C’è un modello che non ha mai visto la luce, il terzo, il Consiglio per le comunicazioni audiovisive. Un tentativo che fece la senatrice Tana De Zulueta, che provò ad immaginare la presenza dei territori, delle comunità locali, dei sindacati, ma anche delle imprese, del terzo settore, della parte degli autori dei contenuti culturali, della ricerca e dell’università. Ripeto, non ha mai visto la luce, ma è un modello che almeno culturalmente potrebbe essere un punto di riferimento, anche grazie alla sua elasticità che ben si adatterebbe alla rete”.

“Poi ce n’è uno che ha attraversato i nostri decenni prima ancora che nascessero le autorities legate alla concorrenza e al mercato: l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria. Anche quello era un primo tavolo in assenza di una legge che disciplinasse l’informazione commerciale e la pubblicità ingannevole, che è stata poi legiferata nel 1992, due anni dpo l’avvento dell’Antitrust in Italia. Fino ad allora le regole erano stabilite con un codice di autoregolamentazione che è ancora valido e rilevante”.

“Questi – ha proseguito Gambino – sono dei modellini che probabilmente, prendendo un po’ dall’uno e un po’ dall’altro, riescono a far emergere la peculiarità italiana che appunto è quella dei contenuti. Certo sarebbe importante che si desse avvio subito a questo processo perché come diceva Chehadè chi ha la governance in mano è ovviamente chi oggi anche governa, almeno a livello di impulso; un impulso che non può che arrivare dall’autorità pubblica, è difficilissimo ci si possa auto-organizzare. E allora il mio suggerimento è quello di cercare di prendere il meglio di quello che esiste, immaginare un meccanismo di totale rotazione all’interno di questo comitato, evitare cioè che si sclerotizzino al suo interno delle rappresentanze, come succede in altri comitati dove siedono sempre gli stessi soggetti, perché in quel caso non sarebbe più un modello aperto. Per certi versi anche un meccanismo dell’estrazione all’interno di un numero ampio di rappresentanza ed individuare di volta in volta chi va a rappresentare una federazione piuttosto che un’azienda”.

Bill of rights – “Effettivamente – ha sottolineato il Prof. Gambino rifacendosi anche all’intervento del Sottosegretario Antonello Giacomelli – oggi ci troviamo in una situazione dove quella gerarchia delle fonti evocata dal Sottosegretario ci consente di poter lavorare senza delle barriere particolari. Io nella gerarchia delle fonti ci metterei anche il lavoro della Commissione Rodotà, perché nella Dichiarazione dei diritti in Internet secondo me ci sono i criteri per costruire questo comitato. Nell’articolo 14 ci sono espressioni come le opportunità offerte da forme di autoregolamentazione che richiama il concetto del quello che già esiste prendetelo, raccoglietelo. Un secondo passaggio è necessità di salvaguardare la capacità di innovazione, e quindi ci deve essere una forte compresenza all’interno di questo ipotetico comitato di soggetti innovatori, che sviluppano idee e hanno evidentemente il governo tencologico di parte della rete”.

“Ancora, la molteplicità dei soggetti che operano in rete, e quindi non sono soltanto i tecnologici, ma anche la parte commerciale e quella culturale, e poi un passaggio come con il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati. Sottolineo la parola interessati, espressione che secondo me è molto chiara perché significa tutti i cittadini sono interessati, e allora entrano anche quelle categorie che sono sotto-rappresentate. Perché i soggetti interessati sono anche quelli che stanno fuori dalla rete, che oggi non la utilizzano molto o la utilizzano solo in poche modalità, ma sono cittadini allo stesso livello degli altri. Evitiamo di fare l’errore che si faceva agli albori della rete dove si diceva con il magistrato viruale si creerà una giustizia con delle regole proprie, ma poi abbiamo scoperto che quella alfabetizzazione, che poi è diventata alfabetizzazione giuridica, era necessaria per consentire l’entrata nel governo della rete anche dei soggetti che al momento ne sono fuori e che vogliono rimanere fuori dalla rete. Anche loro hanno lo stesso diritto di cittadinanza”.

Natura e tutela dei domain names

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