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Copyright digitale, il decreto non va annacquato

di Prof.ssa Avv. Valeria Falce e Prof. Avv. Gustavo Ghidini*

rispettivamente componente del Consiglio Direttivo IAIC e membro del Comitato Scientifico IAIC.

Conto alla rovescia: fra pochi giorni, probabilmente in settimana, il Consiglio dei Ministri esaminerà la bozza di decreto di recepimento della direttiva Ue (790/2019) sul diritto d’autore in ambiente digitale. La direttiva mette un freno al laissez-faire su cui le grandi piattaforme hanno a lungo contato rispetto ai contenuti, anche provenienti da utenti, caricati e diffusi in rete: senza controllarne la liceità (violazioni di copyright altrui, in particolare), e senza compensare gli editori di giornali e riviste per la riproduzione, anche in parte, di testi giornalistici.

Gli alibi di Big Tech

Il preteso alibi: la esigenza di fluidità dell’informazione online garantita da una «libertà» non impacciata da vincoli, e la gratuità della trasmissione ai cittadini utenti (i quali in realtà pagano due volte l’accesso alle app «gratuite»: prima cedendo dati personali che servono a costruire offerte pubblicitarie «mirate», poi abboccando all’amo reso più appetitoso dell’offerta «su misura»). In tali modi le piattaforme hanno minato i fondamenti del copyright online, sia «distraendo» l’attenzione dei lettori (sempre più dirottata sulle piattaforme), sia drasticamente riducendo gli introiti che sostengono l’informazione di qualità, e quindi la cultura tout court. E qui approfittando della estrema concisione tipica della comunicazione digitale, per la quale anche 10 parole possono rappresentare (ed essere sfruttate) come «prodotto informativo» circolabile online, anche sui cellulari.

 

***Leggi l’articolo completo su Il Corriere della Sera***

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