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The right to be forgotten in the framework of personality rights

081. Introduzione.

In questo lavoro si svolgeranno alcune riflessioni sulla nota sentenza della Corte di giustizia del 13 maggio 2014. Per ragioni di sintesi, si assumono i fatti per noti. Quanto ai principi di diritto affermati nella decisione, essi, come ormai si sa, sono tre. In primo luogo, la sentenza afferma che si applica la legge nazionale del Paese nel quale il motore di ricerca opera, esercitando anche altre attività, quali la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari. In secondo luogo, che Google, e in generale i motori di ricerca, sono “titolari del trattamento” [2] e pertanto che l’interessato ha il diritto di richiedere che sia rimossa l’indicizzazione direttamente al motore di ricerca, a prescindere da ogni richiesta al gestore del sito web che ha pubblicato l’informazione, anche nel caso in cui l’informazione sia stata e sia legittimamente pubblicata sul sito web. In terzo luogo, che l’interessato “ha diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome” e che “nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato”.

In questo commento ci si soffermerà, per ragioni connesse all’estensione del presente lavoro, solo sul terzo punto, che è stato problematicamente qualificato come “diritto all’oblio” e alla collocazione di questo diritto nell’ambito dei diritti della personalità, nel quadro dell’ordinamento giuridico italiano. Le altre questioni sono oggetto di specifici contributi pubblicati infra.

2. Le diverse accezioni del “Diritto all’oblio”.

L’espressione “diritto all’oblio” viene utilizzata in almeno tre differenti accezioni.

2.1. Definizione tradizionale.

Una prima accezione è quella più risalente nel tempo, elaborata dalla dottrina civilistica e dalla giurisprudenza, in epoca antecedente all’avvento della Rete.

Con il diritto all’oblio 3 si è fatto tradizionalmente riferimento al diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo.

Il diritto all’oblio, in questa accezione, è relativo a vicende che hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la pubblicizzazione, cioè la fuoriuscita dalla sfera della riservatezza degli interessati, era da considerarsi lecita. Il problema è “se la persona o le vicende legittimamente pubblicizzate possano sempre costituire oggetto di nuova pubblicizzazione o se, invece, il trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la rendano illecita” [4]. Il diritto all’oblio, come magistralmente è stato scritto, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni’ del diritto alla riservatezza” [5].

Il tempo gioca un ruolo importante anche qualora non si tratti di eventi di cronaca, ma di eventi in relazione ai quali un periodo significativo sia ormai trascorso e invece manchino elementi di contestualizzazione nel tempo. In questi casi, la giurisprudenza ha ravvisato la violazione del diritto all’identità personale.

2.2. Il diritto all’oblio su Internet.

Il diritto all’oblio è mutato con l’utilizzo di Internet e delle reti telematiche, per le modalità proprie di diffusione dell’informazione.

Infatti, in Rete la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione dell’informazione nella Rete l’informazione non è cancellata, ma permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. In altri termini, non si tratta solo o necessariamente di una ripubblicazione dell’informazione, ma piuttosto di una permanenza della stessa nella Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il tempo e muta l’esigenza che si vuole soddisfare.

Il tempo da considerare non è più quello trascorso tra la pubblicazione dell’informazione e la ripubblicazione, ma quello trascorso dal tempo della pubblicazione che perdura.

Non si può fare riferimento al tempo trascorso fra un evento e l’altro, ma invece al tempo di permanenza dell’informazione. Non si tratta di un evento che si ripropone all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall’attenzione del medesimo. Siamo di fronte ad un continuum temporale e non più a due eventi puntuali.

Anche l’esigenza che in questo caso il diritto vuole soddisfare è diversa.

L’esigenza non è quella di non ripubblicare, ma quella di collocare la pubblicazione, avvenuta magari legittimamente molti anni addietro, nell’attuale presente.

Il problema è quello di attribuire un peso all’informazione, la quale su Internet appare appiattita, con la finalità di garantire che l’identità di un soggetto non sia travisata sulla Rete [6]. L’obiettivo si può raggiungere contestualizzando l’informazione, come ha affermato la recente decisione della Corte di cassazione 5 aprile 2012, n. 5525 [7]. Non si tratta del diritto a dimenticare, ma del diritto a contestualizzare [8].

L’esigenza non è tanto quella di cancellare, ma piuttosto quella di attribuire un peso all’informazione nell’ambito di uno scenario complessivo che vede l’identità come protagonista. Si parla di “diritto all’oblio”, come Cass. 5525/2012 fa, in senso molto lato.

2.3. Il diritto all’oblio nella direttiva europea 96/46 sulla protezione dei dati personali e nella proposta di regolamento europeo generale sulla protezione dei dati del 25 gennaio 2012.

Una terza accezione del diritto all’oblio è quella che si riferisce al diritto alla cancellazione, al blocco, al congelamento [9] dei dati o all’opposizione al trattamento dei dati previsti dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 “relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”.

Ivi si dispone, con riguardo al diritto di accesso ai dati da parte della persona interessata, e in particolare nell’art. 12, dedicato al diritto di accesso, che “gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento:

a) liberamente e senza costrizione, ad intervalli ragionevoli e senza ritardi o spese eccessivi (…)

b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati”.

L’art. 14 della medesima direttiva disciplina il diritto di opposizione della persona interessata e dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all’articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati” [10].

Dall’esame di queste disposizioni muove la decisione della Corte di Giustizia europea in commento.

Le disposizioni della direttiva europea sopra citate sono state attuate nell’ordinamento giuridico italiano con il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali” e in particolare con l’art. 7, comma 3, lett. b) il quale dispone che “la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati” e con l’art. 7, comma 4 il quale dispone che: “l’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta”.

Dunque i due impianti normativi subordinano il diritto alla cancellazione dei dati e il diritto di opposizione al trattamento al ricorrere di precisi presupposti: che il trattamento sia avvenuto in violazione di legge o che ricorrano motivi legittimi.

Il quadro non muta nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio “concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati (regolamento generale sulla protezione dei dati)” del 25 gennaio 2012 [11] ove all’art. 17 si disciplinano il diritto all’oblio e il diritto alla cancellazione dei dati, benché nei commenti la previsione concernente il diritto all’oblio sia stata molto evidenziata ed enfatizzata.

I presupposti per richiedere la cancellazione dei dati, secondo il primo comma dell’art. 17 della proposta di regolamento, sono infatti i seguenti:

“a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

b) l’interessato revoca il consenso su cui si fonda il trattamento, di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), oppure il periodo di conservazione dei dati autorizzato è scaduto e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati;

c) l’interessato si oppone al trattamento di dati personali ai sensi dell’articolo 19;

d) il trattamento dei dati non è conforme al presente regolamento per altri motivi”.

Dunque nessuna innovazione sostanziale in questo comma, essendo la lettera a) riconducibile al noto principio di necessità, la lett. b) un’applicazione della revocabilità del consenso, la lettera c) una conferma del previgente art. 14 della direttiva, la lettera d) un’applicazione dell’art. 12 della direttiva e comunque dei principi generali di cui all’art. 6 [12].

L’innovazione è, a ben vedere, nel secondo comma dell’art. 17 ove si configura una nuova responsabilità del titolare del trattamento, prevedendo che il titolare del trattamento [13] debba informare i terzi che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali e che, se il titolare ha autorizzato un terzo a pubblicare dati personali, è ritenuto responsabile di tale pubblicazione. Tuttavia giova ricordare che un analogo obbligo del titolare di informare i terzi era già presente nella legge italiana.

Volendo meglio delineare i confini di termini dal significato limitrofo, quali cancellazione dei dati e oblio [14], si può definire la cancellazione come un’operazione sui dati che esclude ogni ulteriore conservazione degli stessi, mentre l’oblio sembra piuttosto essere una finalità, che si può raggiungere con la cancellazione, ma anche con il blocco.

3. Il diritto all’oblio nella sentenza della Corte di Gisutizia.

La sentenza in commento si esprime, in via pregiudiziale, sull’interpretazione degli artt. 12 e 14 della direttiva 95/46/CE, sopra richiamati, aventi rispettivamente ad oggetto l’accesso ai dati e l’opposizione al trattamento. In particolare, la Corte è chiamata ad esprimersi sull’interpretazione dell’art. 12, lett. b) ove si dispone che “gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento: (…) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati” e dell’art. 14, primo comma, lett. a) ove si dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: (…) almeno nei casi di cui all’articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale”.

Dunque il contenuto del diritto all’oblio indagato è quello proprio della terza accezione sopra individuata: il diritto alla cancellazione, al congelamento dei dati e all’opposizione al trattamento. Questi diritti, com’è noto, secondo la conclusione cui giunge la Corte, possono essere fatti valere anche nei confronti del motore di ricerca, che costituisce un titolare di trattamento.

Il motore di ricerca non potrà evidentemente cancellare i dati personali che si trovano presso il titolare di trattamento che ha pubblicato l’informazione (ad esempio, sul sito dell’editore del giornale, nei molti casi verificatisi) ma soltanto il collegamento a detti dati, i quali ben potranno permanere presso il titolare del trattamento. Si realizzerà così una sorta di diritto a non essere trovato online piuttosto che un vero e proprio diritto all’oblio [15], inteso quest’ultimo nel senso di diritto alla cancellazione dei dati.

Pare a questo punto opportuno ripercorrere, se pur in modo sintetico, il percorso argomentativo della Corte.

La domanda del giudice del rinvio era, sul punto, la seguente [16]: “Per quanto concerne la portata del diritto di cancellazione e/o opposizione al trattamento di dati in relazione al diritto all’oblio, si chiede: se si debba ritenere che i diritti di cancellazione e congelamento dei dati, disciplinati dall’articolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione al loro trattamento, regolato dall’articolo 14, [primo comma,] lettera a), della direttiva [95/46], implichino che l’interessato può rivolgersi ai motori di ricerca per impedire l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, facendo valere la propria volontà che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di Internet, ove egli reputi che la loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di informazioni pubblicate da terzi lecitamente”.

Con questa domanda si pongono in realtà due diversi quesiti: se l’interessato possa rivolgersi direttamente al motore di ricerca invece che al soggetto che ha pubblicato l’informazione online e se il presupposto della domanda possa essere costituito dalla considerazione che la divulgazione arrechi pregiudizio o dal desiderio che le informazioni siano dimenticate. Al primo quesito la Corte risponde affermativamente, argomentando, come è noto, che il motore di ricerca è titolare del trattamento dei dati. In relazione al secondo quesito la Corte ritiene che “quanto all’articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, la cui applicazione è subordinata alla condizione che il trattamento di dati personali sia incompatibile con la direttiva stessa, occorre ricordare che, come si è rilevato al punto 72 della presente sentenza, un’incompatibilità siffatta può derivare non soltanto dal fatto che tali dati siano inesatti, ma anche segnatamente dal fatto che essi siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici” [17]. E aggiunge che pertanto “anche un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva suddetta qualora tali dati non siano più necessari in rapporto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati. Tale situazione si configura in particolare nel caso in cui i dati risultino inadeguati, non siano o non siano più pertinenti, ovvero siano eccessivi in rapporto alle finalità suddette e al tempo trascorso” [18]. E conclude che “l’inclusione nell’elenco di risultati — che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome — dei link verso pagine web, legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere relative alla sua persona, è, allo stato attuale, incompatibile con il citato articolo 6, paragrafo 1, lettere da c) a e), a motivo del fatto che tali informazioni appaiono, alla luce dell’insieme delle circostanze caratterizzanti il caso di specie, inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca, le informazioni e i link in parola di cui al suddetto elenco di risultati devono essere cancellati” [19].

Dunque la Corte afferma il diritto a cancellare i dati se essi sono inadeguati, non pertinenti o non più pertinenti in rapporto alle finalità del trattamento [20]. Non si tratta di un diritto ad nutum ma di un diritto a cancellare che va ponderato ed esercitato in ragione delle caratteristiche dei dati costituite dall’adeguatezza, dalla pertinenza o dalla non pertinenza del trattamento rispetto alle finalità.

Non viene affermato un generale diritto all’oblio sui dati trattati dai motori di ricerca, ma l’applicabilità anche a questi di quanto disposto nella direttiva [21]. Non si tratta del diritto a cancellare i dati tout court. “Di per sé, una preferenza soggettiva non costituisce un motivo preminente e legittimo ai sensi dell’art. 14, lett. a), della direttiva” [22].

Questa affermazione della Corte appare condivisibile e sostanzia una specificazione di quanto disposto nella direttiva. D’altro canto, essa solleva nuovi interrogativi. Se, infatti, l’oggetto della cancellazione è costituito dai link pubblicati del motore di ricerca (non dai dati pubblicati dal gestore del sito fonte dell’informazione) e le finalità del trattamento sono quelle del motore di ricerca, occorre interrogarsi sulle conseguenze di questa affermazione [23].

È in rapporto alle finalità del motore di ricerca che va effettuata la valutazione sull’adeguatezza, la pertinenza o la non pertinenza dei dati e conseguentemente assunta la decisione di cancellare.

Gli interessi legittimi perseguiti dai motori di ricerca sono quelli di facilitare l’accesso alle informazioni per gli utenti di Internet, migliorare l’efficacia della diffusione delle informazioni su Internet, consentire diversi servizi della società dell’informazione [24]. Questi interessi corrispondono a tre diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: libertà di informazione, libertà di espressione e libertà di impresa [25].

Nell’effettuare il trattamento, il motore di ricerca deve rispettare i principi di qualità dei dati dettati dalla direttiva: in particolare “i dati personali debbono essere adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite, ed aggiornati, vale a dire non obsoleti per i fini per i quali sono stati rilevati” [26]. Alla luce del principio della qualità dei dati sopra menzionato va interpretata l’affermazione della Corte, invero non particolarmente felice, secondo la quale “la constatazione di un diritto siffatto non presuppone che l’inclusione dell’informazione in questione nell’elenco di risultati arrechi un pregiudizio all’interessato” [27].

Il legal reasoning della Corte è correttamente svolto entro i confini delineati dalla direttiva, ma la prospettiva non può essere limitata all’applicazione della direttiva.

Il bene giuridico che si vuole tutelare è quello dell’identità. Il dato personale è, in ultima analisi, inadeguato o non pertinente rispetto all’identità di un soggetto. Il motore di ricerca è, infatti, idoneo a generare una vera e propria immagine online.

4. Il diritto all’oblio costituisce un nuovo diritto della personalità?

Non pare che il diritto all’oblio costituisca un diritto in sé e che si debba ampliare il catalogo dei diritti della personalità, dal momento che esso appare comunque strumentale, o al diritto all’identità personale o al diritto alla protezione dei dati personali. Da un punto di vista metodologico, non serve in questo caso procedere alla creazione e alla formulazione di un nuovo diritto, dal momento che i diritti già consolidati sono idonei ad accogliere le esigenze nuove [28].

Invero, se si considerano le prime due accezioni sopra illustrate del diritto all’oblio, esso appare strumentale al diritto all’identità personale. Infatti, la prima accezione del diritto all’oblio è che esso costituisca un diritto a non vedere ripubblicata l’informazione rispetto alla cui prima pubblicazione è trascorso un rilevante periodo di tempo, qualora la riproposizione della notizia non sia di attuale interesse. La seconda accezione del diritto all’oblio lo riconduce alla contestualizzazione dell’informazione.

Il bene giuridico tutelato è in entrambi i casi quello dell’identità personale. Si tratta del diritto a non vedere travisata la propria immagine sociale. Ed è un fatto, che non abbisogna di dimostrazioni, che il motore di ricerca crei l’immagine online di un soggetto, non meno vera solo perché si trova su Internet. Certo non è questa la finalità del trattamento dei dati effettuato dal motore di ricerca, finalità piuttosto costituita dal rendere l’informazione reperibile su Internet. Tuttavia la creazione di un’immagine online è certamente un effetto dell’attività svolta dal motore di ricerca.

Dunque in questi due casi, il diritto all’oblio è strumentale alla tutela del diritto all’identità personale.

Se si considera la terza accezione del diritto all’oblio, cioè il diritto a cancellare i dati, il bene giuridico tutelato è costituito dai dati personali. In questo caso, che è peraltro quello considerato dalla direttiva europea, dalla legge italiana, dalla proposta di regolamento europeo, nonché dalla decisione della Corte di giustizia in commento, il bene giuridico considerato è quello della protezione dei dati personali. In questo caso, il diritto a cancellare è strumentale al diritto alla protezione dei dati personali. Il dato personale può essere cancellato, come afferma la Corte, se non è più adeguato, aggiornato o pertinente.

Vero è che i due diritti in considerazione, il diritto all’identità personale e il diritto alla protezione dei dati personali sono diritti molto vicini e volti a tutelare un unico bene: quello dell’identità della persona.

Infatti, lo scenario e la prospettiva non sono quelli del dato personale contenuto nel singolo archivio, bensì quelli della tutela della persona nella rete Internet, che non è un archivio ma un deposito [29], la quale crea, attraverso i motori di ricerca l’immagine della persona.

Indipendentemente dalla constatazione che le informazioni sulla persona online siano state lecitamente pubblicate, l’immagine complessiva può dare luogo ad un travisamento della sua immagine sociale.

Come scrive la Cassazione: “La notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera” [30].

Il diritto alla protezione dei dati personali e i diritti della personalità ad esso limitrofi, quali il diritto all’identità personale, il diritto di rettifica, il diritto alla riservatezza, il diritto alla protezione dei dati personali, il diritto alla reputazione, il diritto all’immagine e il diritto al nome, sono tutti volti a tutelare un unico bene giuridico: l’identità. Identità che viene vista nelle sue molteplici forme ed espressioni: le informazioni concernenti un soggetto, la sua immagine sociale, la sua immagine sulla stampa, la sua immagine fisica, il suo nome.

Così il diritto all’identità personale consiste nel diritto di vietare un travisamento dell’immagine sociale di un soggetto; il diritto di rettifica comporta una forma di controllo sull’immagine sociale di un soggetto e il diritto, per questi, di fare correggere le pubblicazioni lesive o contrarie a verità; il diritto alla riservatezza comporta un controllo del soggetto sulle vicende e sulle informazioni che lo riguardano; il diritto alla reputazione tutela la stima sociale di un soggetto; il diritto al nome va inteso come strumento di identificazione di un soggetto e quindi, per traslato, strumento di tutela dell’identità; il diritto all’immagine può anche essere inteso in senso lato, come tutela dell’immagine sociale, oltre che dell’immagine fisica di un soggetto [31].

Il bene giuridico complessivamente tutelato è uno solo, quello dell’identità, declinata nei suoi molteplici aspetti e nelle sue molteplici forme. E un ulteriore elemento di complessità è oggi aggiunto dalla possibilità di manifestare l’identità anche con mezzi digitali e di assumere, nel mondo virtuale, molteplici identità [32].

Ma se l’identità è sintesi dei tanti elementi di natura diversa che la compongono, essa non è certo una sintesi statica. Il tempo gioca un ruolo essenziale: la persona è ciò che è in un determinato momento storico e l’identità muta col tempo. Divengono essenziali la contestualizzazione e la storicizzazione. Eventi occorsi in una certa epoca possono non corrispondere più alla personalità di un soggetto in un diverso momento storico. Sul terreno di questo conflitto, fra la verità della storia e l’identità attuale, nasce il diritto all’oblio.

Naturalmente, tale diritto deve essere oggetto di bilanciamento con altri diritti, quali il diritto all’informazione. La Corte di giustizia afferma che in linea generale il diritto alla protezione della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali devono prevalere, salvo che si tratti di soggetti che ricoprono un ruolo pubblico [33], ma questa affermazione appare apodittica e destinata a trovare molte correzioni e precisazioni. Come ricordato nelle conclusioni dell’avvocato generale, agli interessi legittimi dei motori di ricerca corrispondono tre diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: libertà di informazione, libertà di espressione e libertà di impresa [34]. “L’accessibilità universale delle informazioni su Internet dipende dai motori di ricerca, dato che trovare informazioni rilevanti senza di essi sarebbe troppo complicato e difficile e produrrebbe risultati limitati” [35]. Internet è oggi un gigantesco deposito e non un archivio ordinato [36].

Ogni soluzione passerà inevitabilmente per un complesso processo di bilanciamento di diritti: quanto meno il diritto di accesso ad Internet, che senza i motori di ricerca è fortemente depotenziato, il diritto alla libertà di espressione, che rende il diritto all’oblio assai arduo da comprendere oltreoceano [37], e il diritto alla libertà di impresa e necessariamente si tratterà di una valutazione da effettuarsi caso per caso.

Note

[1] PRIN 2010-2011, “La regolamentazione giuridica delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) quale strumento di potenziamento delle società inclusive, innovative e sicure”.

[2] Nella traduzione italiana della direttiva è utilizzato il termine “responsabile” ma, com’è noto, esso equivale al “titolare”, secondo la legge italiana.

[3] In dottrina, sul diritto all’oblio si vedano: AA.VV., Il diritto all’oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, GABRIELLI (a cura di), Napoli, 1999; AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l’oubli”, in ALPA-BESSONE-BONESCHI-CAIAZZA (a cura di), L’informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 127 e ss.; FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., 1990, p. 801 e ss.; MORELLI, voce Oblio (diritto all’), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002; da ultimo, MEZZANOTTE, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, 2009; in giurisprudenza fra le pronunce che si sono occupate più specificamente del diritto all’oblio si segnalano: Cass. civ., 18 ottobre 1984, n. 5259, in Giur. it., 1985, coll. 762; Cass. civ., 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, coll. 123 e nel merito Trib. Roma, 15 maggio 1995, in questa Rivista, 1996, p. 427; Trib. Roma 27 novembre 1996, in Giust. civ., 1997, p. 1979 e ss. e Trib. Roma, ord. 20.21.27 novembre 1996, in Dir. aut., 1997, p. 372 e ss.

[4] AULETTA, op. cit., p. 129.

[5] FERRI, op. cit., p. 808.

[6] Questa è la problematica affrontata da MAYER-SCHÖNBERGER, Delete: the virtue of forgetting in the digital age, Princeton University Press, 2009. Sul tema si rinvia, inoltre, ai miei articoli apparsi in questa Rivista: Identità personale su Internet: il diritto alla contestualizzazione dell’informazione, 2012, p. 383 e ss. e La memoria della rete e il diritto all’oblio, 2010, p. 391 e ss., che riprendo in questo scritto.

[7] Foro it., 2013, 1, 1, coll. 305. Cass. civ., 5 aprile 2012, n. 5525, in

[8] Come ha scritto ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985, p. 120, la decontestualizzazione consiste nella enucleazione dell’immagine di un individuo dal contesto nel quale essa si trovava originariamente e collocazione in uno stato diverso, con l’effetto di creare un contrasto negativo esteriormente percepibile.

[9] Il termine “congelamento” ricorre nella direttiva, ma nella legge italiana si utilizza invece il termine “blocco”.

[10] Così l’art. 7: “Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando: (…)

e) è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure

f) è necessario per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l’interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1”.

[11] COM 2011 (12) final, http://ec.eu- ropa.eu/justice/data-protection/document/ review2012/com_2012_11_it.pdf, visualizzato il 20 luglio 2014.

[12] In questo stesso senso ICRI Working Paper Series, Search engines after Google Spain: internet@liberty or privacy@peril?, VAN ALSENOY – KUCZERAWY – AUSLOOS (ed.), no. 15, Interdisciplinary Center for Law and ICT, K.U. Leuven, 2013, p. 43. Sulla rubrica dell’articolo, “diritto all’oblio e alla cancellazione”, non tanto infelice, ma piuttosto politicamente orientata nel dibattito Europa — Stati Uniti, v. le riflessioni di PIZZETTI, Il prisma del diritto all’oblio, in AA.VV., Il caso del diritto all’oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p. 21 e ss. In commento all’art. 17 del regolamento v. SIANO, Il diritto all’oblio in Europa e il recente caso spagnolo, ivi, p. 123. Nello stesso senso, MANTELERO, Il diritto all’oblio dalla carta stampata ad Internet, ivi, p. 166.

[13] Anche in questo caso, nella versione italiana del regolamento è utilizzato il termine “responsabile” ma, com’è noto, è da intendersi “titolare”.

[14] Dalla ricostruzione di BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, Milano, 1997, p. 310, benché riferita alla l. 31 dicembre 1996, n. 675, sembra intendersi che il diritto all’oblio sia da riferirsi ai dati di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati, mentre l’opposizione al trattamento va riferita al caso in cui il trattamento sia effettuato in modo lecito e l’interessato possa prospettare ragioni particolari meritevoli di protezione (p. 314).

La distinzione fra cancellazione e blocco è operata da IMPERIALI – IMPERIALI, Codice della privacy. Commento alla normativa sulla protezione dei dati personali, Milano, 2004, p. 93, secondo i quali qualora al titolare venga lasciata la scelta di optare fra cancellazione e blocco, questi dovrebbe procedere con la cancellazione, se si tratta di violazione insanabile di legge, per poi procedere alla sospensione, se si tratta di violazione riparabile, in modo da consentire successivamente la ripresa del trattamento.

[15] In questo senso molti commenti statunitensi che si riferiscono al “right not to find”. Anche SIANO, Il diritto all’oblio in Europa e il recente caso spagnolo, cit., p. 132, ritiene che meglio sarebbe stato riferirsi al “right not to be seen”.

[16] Punto 20 della sentenza, terza questione pregiudiziale.

[17] Punto 92 della sentenza.

[18] Punto 93 della sentenza.

[19] Punto 94 della sentenza.

[20] In questo senso BUSIA, Le operazioni dei motori di ricerca su internet vanno ricondotte al concetto di “trattamento”, commento a Corte di giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione – Sentenza 13 maggio 2014 Causa C-131/12 – Commento, in Guida dir., 24, 2014, p. 15 e ss.

[21] Così PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid= 26322&dpath=document&dfile=100620141 74108.pdf&content=La+decisione+della+Co rte+di+giustizia+sul+caso+Google+Spain:+ pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+sta to+-+dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014.

[22] Così le conclusioni dell’Avvocato generale Niilo Jääskinen, in http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-131/12, punto 108, consultato il 20 luglio 2014.

[23] Appare condivisibile quanto affermato da PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, cit., cioè che la qualificazione dei motori di ricerca come titolari di trattamento apra scenari molteplici e particolarmente complessi.

[24] Così le conclusioni dell’Avvocato generale, cit., punto 95. Per un primo commento POLLICINO-BASSINI, Il diritto all’oblio a Lussemburgo, in Diritto24, 2014. Ritenendo questi interessi legittimi perseguiti con il trattamento, l’Avvocato generale legittima il trattamento senza consenso dell’interessato.

[25] Così ancora le conclusioni dell’Avvocato generale, cit., punto 95.

[26] Così ancora le conclusioni dell’Avvocato generale, cit., punto 96.

[27] Punto 96 della sentenza.

[28] PIZZETTI, Il prisma del diritto all’oblio, cit., p. 22 con ampia nota, evidenzia che “si tratta di categorie più evocative che descrittive, che spesso trovano nel fascino stesso della loro formulazione una seduzione particolare”.

[29] Si riferisce ad Internet come “deposito” l’Avvocato generale nelle sue conclusioni, cit., punto 27. V. inoltre il mio La memoria della rete e il diritto all’oblio, cit.

[30] Così Cass. civ., 5 aprile 2012, n. 5525 , cit., in corsivo nel testo della sentenza.

[31] Così ZENO-ZENCOVICH, voce Identità personale, in Dig. it., Sez. Civ., IX, Torino, 1995.Si rinvia, inoltre, a G. FINOCCHIARO, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2010, p. 721 e ss. e a RESTA, Identità personale e identità digi- tale, in questa Rivista, 2007, p. 511 e ss.

Ritiene che si dissolvano i confini tra le singole situazioni soggettive e si definisca un generale potere di controllo sulla circolazione commerciale dell’identità, RESTA, Au- tonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, p. 166.

[32] Sull’argomento RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006.

[33] Così la decisione: “Dato che l’interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi”.

[34] Così le conclusioni dell’Avvocato generale, cit., punto 95.

[35] Così le conclusioni dell’Avvocato generale, cit., punto 45.

[36] Critici sulla decisione che ritengono sia applicabile ad Internet solo nel medio termine, DE HERT e PAPAKONSTANTINOU, How the European Google Decision May Have Nothing To Do With a Right to Be Forgotten, in https://www.privacyassociation.org/ privacy_perspectives/post/how_the_europe an_google_decision_may_have_nothing_to _do_with_a_right_to_be, pubblicato il 19 giugno 2014. Critico altresì KUNER, The Court of Justice of EU’s Judgment on the “Right to be Forgotten”: An International Perspective, in http://www.ejiltalk.org/the- court-of-justice-of-eus-judgment-on-the-ri ght-to-be-forgotten-an-international-per- spective/, pubblicato il 20 maggio 2014, il quale ritiene che la decisione possa creare una rete Internet europea, in contrapposizione a quella mondiale.

[37] Per una sintesi delle due diverse visioni, europea ed italiana, v. ROSEN, The Right to be Forgotten, in Stanford Law Review Online, 2012, in http://www.stan- fordlawreview.org/online/privacy-parado- x/right-to-be-forgotten, consultato il 20 luglio 2014.

Vedi anche G. Finocchiaro, “La memoria della Rete e il diritto all’oblio“, in “Il diritto dell’informazione e dell’Informatica“, Anno XXVI Fasc. 3 – 2010

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