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Industrial secrets to be protected with EU standards

Di seguito l’articolo pubblicato a firma della Prof.ssa Valeria Falce nell’edizione de Il Sole 24 Ore del 19 luglio 2015 Pagina ILSOLE 19 luglio

La lunga marcia verso l’adozione di una disciplina europea sul segreto industriale è a una svolta. Il Draft Report della Committee on Legal Affairs – Juri (pubblicato a fine giugno) viene ora portato al Parlamento europeo che dovrà valutare in via definitiva la proposta di Direttiva con cui la Commissione europea a fine 2013 aveva inteso armonizzare la tutela del know how commerciale e tecnologico.

Entro l’anno la Ue potrebbe dunque dotarsi di strumenti efficaci e comuni di enforcement, che da un lato ostacolerebbero i comportamenti di appropriazione scorretta e dall’altro favorirebbero la cooperazione intra-settoriale perché la condivisione di informazioni riservate verrebbe finalmente governata da regole equivalenti.

Il rapporto preliminare della Juri è all’insegna della continuità con la proposta originaria di direttiva. In particolare, conferma l’impianto e condivide gli obiettivo promossi dalla Commissione: contrastare forme di accesso, condivisione e sfruttamento di informazioni commerciali riservate, nella misura in cui il titolare non abbia fornito il proprio consenso e sempre che le modalità di sfruttamento delle informazioni sensibili qualifichino degli atti di concorrenza sleale. D’altra parte, nel Draft Report viene avanzata la proposta di dilatare la nozione di segreto industriale oltre il know how tecnologico e commerciale per ricomprendere indistintamente ogni informazione commerciale di cui il titolare intenda preservare il trattamento confidenziale.

La Juri aderisce poi alla linea “morbida” del Consiglio, raccomandando che il testo definitivo della Direttiva si ispiri ad una tecnica di armonizzazione minima, vincolante cioè per gli Stati nelle finalità perseguite ma non anche nelle modalità di attuazione rimesse agli ordinamenti nazionali. Insomma, per la Juri la tutela del segreto industriale va sì riportata nell’alveo della cosiddetta “unfair competition” e dunque ad una tutela relativa, obbligatoria, che opera esclusivamente tra concorrenti nella misura in cui la condotta assunta si discosti dal paradigma della correttezza professionale e sempre che il comportamento sia frutto di colpa o anche solo di negligenza.

Ma, stando al Draft Report, gli ordinamenti in sede di recepimento dovrebbero rimanere liberi di introdurre misure più stringenti e persino di innalzare il livello di tutela, anche eventualmente attribuendo al “proprietario” del segreto un diritto esclusivo ed escludente, che gli consenta di perseguire le condotte di appropriazione innocente realizzate da chiunque indipendentemente cioè dallo status di concorrente e dal relativo atteggiamento soggettivo.

Certo, nel Draft Report si conferma, come già nella proposta della Commissione, la liceità sia dell’attività di decompilazione di un prodotto offerto sul mercato attraverso la quale si risalga ad informazioni riservate sia dell’innovazione parallela, la quale, fortuitamente, senza cioè alcun comportamento parassitario, conduca ai medesimi risultati. Per la Juri questo temperamento sarebbe sufficiente a contribuire all’Unione dell’Innovazione bilanciando gli interessi delle imprese, specialmente quelle piccole e medie, con gli interessi del mercato, della concorrenza e dei consumatori. Si aggiungono altre raccomandazioni all’insegna della consistenza con il diritto dell’Unione nel suo insieme, e si richiede il raccordo con gli obblighi di disclosure e rivelazione previsti a livello regolamentare nonché il diritto all’informazione e alla manifestazione del pensiero, il principio della concorrenza e della libera iniziativa, i diritti dei lavoratori e delle relative organizzazioni. Il testo che il Parlamento è chiamato ora a votare è apprezzabile. Per rendere però la Direttiva davvero efficace andrebbe fatto un ulteriore sforzo: chiedere agli Stati di conformarsi alle sue previsioni senza lasciare spazio a divergenze in sede di recepimento.

E ciò tanto più che un obbligo di convergenza minima verso un regime di unfair competition esiste a livello internazionale (articolo 39 Trips) da oltre venti anni, senza che ad esso si sia accompagnato l’atteso allineamento spontaneo verso regole sostanziali e procedurali comuni.

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